venerdì 11 ottobre 2013

Il "Grande Sertão: Veredas" e la sua traduzione italiana

L’intensa opera di ricerca è ciò che caratterizza il lavoro di traduzione che l’italiano Edoardo Bizzarri svolse di una delle opere più importanti della letteratura brasiliana, il monumentale Grande Sertâo: Veredas di Joâo Guimarâes Rosa. Una storia poco conosciuta, ma molto affascinante, quella del rapporto di collaborazione e in seguito amicizia nato dallo scambio epistolare tra lo scrittore brasiliano e il suo stimato traduttore italiano. Una storia su cui vale la pena scrivere alcune righe.
I ragazzi della II LSU A hanno svolto la loro personale ricerca e questo è il risultato.



João Guimarães Rosa nacque a Carnisburgo, nello stato di Minas Gerais, primo dei sei figli di Floduardo Pinto Rosa e Francisca Guimarães Rosa. Sin dall’infanzia si distinse per la passione per le lingue, a partire dal francese, appreso all’età di sette anni. Ancora bambino si trasferì in casa dei nonni a Belo Horizonte, dove terminò le scuole elementari. Nel 1925, a soli sedici anni, si iscrisse alla facoltà di medicina dell’università di Minas Gerais.
Il 27 giugno 1930 si sposò con Ligia Cabral Penna, dalla quale ebbe due figli. Iniziò il tirocinio come medico nel comune di Itauna. Fu in questa città che venne a contatto per la prima volta con il mondo del sertão, l’entroterra semiarido del Brasile, territorio da cui trasse ispirazione per molte delle sue opere.
Medico e diplomatico, occupò anche alte cariche al ministero degli esteri e visse a lungo in Europa, soprattutto in Germania. Nel 1946 scrisse Sagarana e dieci anni dopo Corpo di Ballo. Tuttavia il riconoscimento unanime della critica nei confronti della genialità dello scrittore brasiliano si deve all’opera Grande Sertão: Veredas (1956).
Nel 1963 le sue opere gli valsero l’ammissione con voto unanime all’Academia Brasileira de Letras, ma egli poté occupare il posto nel 1967, tre giorni prima della sua morte, avvenuta a Rio de Janeiro e provocata da un attacco cardiaco.





Grande Sertâo è una monumentale storia di sparatorie, amori e avventure che si dipanano in un mondo dalle sfumature fantastiche, i cui protagonisti sono i “jagunços”, fuorilegge il cui spirito si fonde con quello delle ruvide terre che attraversano cavalcando e che si estendono dall’entroterra mineiro al sud della Bahia. L’opera è scritta in prima persona dal “jagunço” Riobaldo. La narrativa, lunga e labirintica, ricca di digressioni del narratore, rispecchia il paesaggio stesso del sertão.
L’immensa capacità di creazione linguistica costituisce, senza dubbio, l’aspetto più rilevante di tutta l’opera di Guimarâes Rosa. Egli crea il linguaggio del sertâo, fatto di arcaismi, brasilerismi e neologismi, al punto da risultare a tratti ermetico.


Grande Sertão fu tradotto in molte lingue. Il processo di traduzione fu sicuramente difficile, a causa del particolare linguaggio creato da Guimarães Rosa. Egli seguì con grande dedizione l’opera di traduzione nei diversi idiomi, instaurando spesso rapporti epistolari di collaborazione con i vari traduttori. In particolare con il traduttore italiano Edoardo Bizzari nacque un rapporto di profonda stima reciproca e amicizia, testimoniato dalle molte lattere che nel tempo i due si scambiarono. All’interno dell’affascinante corpo epistolare, raccolto nel  libro João Guimarães Rosa: corrispondenza con il suo traduttore italiano Edoardo Bizzarri, quest’ultimo scrive all’autore brasiliano esponendogli dubbi, interrogativi, incertezze che di volta in volta si presentavano durante il processo di traduzione. Le domande riguardavano le questioni più svariate, dal significato di un'espressione del sertão o di un modo di dire mineiro, alla conformazione di una particolare pianta descritta da Guimarães Rosa. Le risposte arrivavano puntuali, lettera dopo lettera, corredate a volte da desegni esplicativi fatti dallo stesso Guimarães Rosa. Insieme a queste, le note di profonda ammirazione per la traduzione che Bizzarri stava compiendo. Secondo Guimarães Rosa (fine conoscitore della lingua italiana) questa traduzione era, tra tutte, la migliore, quella che più riusciva a ricreare lo spirito, il sapore, le ombre e le luci, l’energia pulsante dell’opera originale. Edoardo Bizzarri ne era di certo lunsingato.


Riportiamo di seguito un passo iniziale dell’opera Grande Sertão: Veredas nella sua lìngua originale e poi nella sua traduzione italiana:

NONADA. TIROS QUE O SENHOR ouviu foram de briga de homem não, Deus esteja. Alvejei mira em árvores no quintal, no baixo do córrego. Por meu acerto. Todo dia isso faço, gosto; desde mal em minha mocidade. Daí, vieram me chamar. Causa dum bezerro: um bezerro branco, erroso, os olhos de nem ser – se viu –; e com máscara de cachorro. Me disseram; eu não quis avistar. Mesmo que, por defeito como nasceu, arrebitado de beiços, esse figurava rindo feito pessoa. Cara de gente, cara de cão: determinaram – era o demo. Povo prascóvio. Mataram. Dono dele nem sei quem for. Vieram emprestar minhas armas, cedi. Não tenho abusões. O senhor ri certas risadas... Olhe: quando é tiro de verdade, primeiro a cachorrada pega a latir, instantaneamente – depois, então, se vai ver se deu mortos. O senhor tolere, isto é o sertão. Uns querem que não seja: que situado sertão é por os campos-gerais a fora a dentro, eles dizem, fim de rumo, terras altas, demais do Urucuia. Toleima. Para os de Corinto e do Curvelo, então, o aqui não é dito sertão? Ah, que tem maior! Lugar sertão se divulga: é onde os pastos carecem de fechos; onde um pode torar dez, quinze léguas, sem topar com casa de morador; e onde criminoso vive seu cristo-jesus, arredado do arrocho de autoridade.

NONNULLA. I COLPI CHE VOSSIGNORIA ha sentito non erano di rissa di uomini, no, Dio ne guardi. Ho sparato contro un albero, dietro la casa, dalla parte del torrente. Per esercizio. Lo faccio tutti i giorni, mi piace; fin da quando ero appena um ragazzo. E lí, sono venuti a chiamarmi. Per via di um vitello: um vitello bianco, erratico, gli occhi che manco um cristiano – che era apparso; e con faccia di cane. Così m’hanno detto; io non l’ho voluto vedere. E poi, com le labbra rovesciate in fuori, per difetto di nascita, quello sembrava ridere come uma persona. Faccia di gente, faccia di cane: decisero – era il demonio. Popolo ignorante. L’hanno ammazzato. Il padrone non so neppure chi fosse. Erano venuti a chiedermi in prestito le armi, le ho date. Non sono superstizioso. Vossignoria ha ragione di ridere... Veda: quando é sparatoria vera, per prima cosa i cani si mettono ad abbaiare, immediatamente – allora, poi, si va a vedere se ci sono scappati dei morti. Vossignoria deve compatire, questo é il sertão. C’è chi disse di no: il vero sertão, dicono quelli, è più avanti addentro nei Campos Gerais, fine di strade, terre alte, oltre l’Urucuia. Sciocchezze. E quelli di Corinto e di Curvelo, allora, non chiamano forse sertão questi posti qui? Ah, è maggiore! Il luogo sertão si riconosce: è dove i pascoli mancano di steccato; dove uno può andare dieci, quindici leghe, senza trovare uma casa abitata; e dove il criminale vive a suo piacere, lontano dalle strette delle autorità.


Classe II LSU-A
Prof. Aleandro Tubaldi

1 commento:

  1. meraviglio scrittore! ho fatto la mia tesi di laurea su Guimaraes Rosa!

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