L’intensa
opera di ricerca è ciò che caratterizza il lavoro di traduzione che
l’italiano Edoardo Bizzarri svolse di una delle opere più importanti della letteratura brasiliana, il monumentale Grande
Sertâo: Veredas
di Joâo Guimarâes Rosa. Una storia poco conosciuta, ma molto
affascinante, quella del rapporto di collaborazione e in seguito
amicizia nato dallo scambio epistolare tra lo scrittore brasiliano e
il suo stimato traduttore italiano. Una storia su cui vale la pena
scrivere alcune righe.
I ragazzi della II LSU A hanno svolto la loro
personale ricerca e questo è il risultato.
João
Guimarães Rosa nacque a Carnisburgo, nello stato di Minas Gerais,
primo dei sei figli di Floduardo Pinto Rosa e Francisca Guimarães
Rosa. Sin dall’infanzia si
distinse per la passione per le lingue, a partire dal francese,
appreso all’età di sette anni. Ancora bambino si trasferì in casa
dei nonni a Belo Horizonte, dove terminò le scuole elementari. Nel
1925, a soli sedici anni, si iscrisse alla facoltà di medicina
dell’università di Minas Gerais.
Il
27 giugno 1930 si sposò con Ligia Cabral Penna, dalla quale ebbe due figli. Iniziò il tirocinio come medico nel comune di Itauna. Fu in
questa città che venne a contatto per la prima volta con il mondo
del sertão, l’entroterra semiarido del Brasile, territorio da cui
trasse ispirazione per molte delle sue opere.
Medico
e diplomatico, occupò anche alte cariche al ministero degli esteri e
visse a lungo in Europa, soprattutto in Germania. Nel 1946 scrisse
Sagarana
e dieci anni dopo Corpo
di Ballo.
Tuttavia il riconoscimento unanime della critica nei confronti della
genialità dello scrittore brasiliano si deve all’opera Grande
Sertão:
Veredas
(1956).
Nel
1963 le sue opere gli valsero l’ammissione con voto unanime all’Academia Brasileira de Letras, ma egli poté occupare il posto nel
1967, tre giorni prima della sua morte, avvenuta a Rio de Janeiro e
provocata da un attacco cardiaco.
Grande
Sertâo
è una monumentale storia di sparatorie, amori e avventure che si
dipanano in un mondo dalle sfumature fantastiche, i cui protagonisti
sono i “jagunços”, fuorilegge il cui spirito si fonde con quello
delle ruvide terre che attraversano cavalcando e che si estendono
dall’entroterra mineiro al sud della Bahia. L’opera
è scritta in prima persona dal “jagunço” Riobaldo. La
narrativa, lunga e labirintica, ricca di digressioni del narratore,
rispecchia il paesaggio stesso del sertão.
L’immensa
capacità di creazione linguistica costituisce, senza dubbio,
l’aspetto più rilevante di tutta l’opera di Guimarâes Rosa.
Egli crea il linguaggio del sertâo, fatto di arcaismi, brasilerismi
e neologismi, al punto da risultare a tratti ermetico.
Grande
Sertão
fu tradotto in molte lingue. Il processo di traduzione fu sicuramente
difficile, a causa del particolare linguaggio creato da Guimarães
Rosa. Egli seguì con grande dedizione l’opera di traduzione nei
diversi idiomi, instaurando spesso rapporti epistolari di
collaborazione con i vari traduttori. In
particolare con il traduttore italiano Edoardo Bizzari nacque un
rapporto di profonda stima reciproca e amicizia, testimoniato dalle
molte lattere che nel tempo i due si scambiarono. All’interno
dell’affascinante corpo epistolare, raccolto nel libro João
Guimarães Rosa: corrispondenza con il suo traduttore italiano
Edoardo Bizzarri,
quest’ultimo scrive all’autore brasiliano esponendogli dubbi,
interrogativi, incertezze che di volta in volta si presentavano
durante il processo di traduzione. Le
domande riguardavano le questioni più svariate, dal significato di
un'espressione del sertão o di un modo di dire mineiro, alla
conformazione di una particolare pianta descritta da Guimarães Rosa. Le
risposte arrivavano puntuali, lettera dopo lettera, corredate a volte
da desegni esplicativi fatti dallo stesso Guimarães Rosa. Insieme a
queste, le note di profonda ammirazione per la traduzione che
Bizzarri stava compiendo. Secondo Guimarães Rosa (fine conoscitore
della lingua italiana) questa traduzione era, tra tutte, la migliore,
quella che più riusciva a ricreare lo spirito, il sapore, le ombre e
le luci, l’energia pulsante dell’opera originale. Edoardo
Bizzarri ne era di certo lunsingato.
Riportiamo
di seguito un passo iniziale dell’opera Grande
Sertão: Veredas
nella sua lìngua originale e poi nella sua traduzione italiana:
NONADA.
TIROS QUE O SENHOR ouviu foram de briga
de homem não, Deus esteja. Alvejei mira em árvores no quintal,
no baixo do córrego. Por meu acerto. Todo dia isso faço, gosto;
desde mal em minha mocidade. Daí, vieram me chamar. Causa
dum bezerro: um bezerro branco, erroso, os olhos de nem ser
– se viu –; e com máscara de cachorro. Me disseram; eu não quis
avistar. Mesmo que, por defeito como nasceu, arrebitado de beiços,
esse figurava rindo feito pessoa. Cara de gente, cara de cão:
determinaram – era o demo. Povo prascóvio. Mataram. Dono
dele nem sei quem for. Vieram emprestar minhas armas, cedi.
Não tenho abusões. O senhor ri certas risadas... Olhe: quando
é tiro de verdade, primeiro a cachorrada pega a latir, instantaneamente
– depois, então, se vai ver se deu mortos. O senhor
tolere, isto é o sertão. Uns querem que não seja: que situado
sertão é por os campos-gerais a fora a dentro, eles dizem, fim
de rumo, terras altas, demais do Urucuia. Toleima. Para os de Corinto
e do Curvelo, então, o aqui não é dito sertão? Ah, que tem
maior! Lugar sertão se divulga: é onde os pastos carecem de fechos;
onde um pode torar dez, quinze léguas, sem topar com casa
de morador; e onde criminoso vive seu cristo-jesus, arredado do
arrocho de autoridade.
NONNULLA.
I COLPI CHE VOSSIGNORIA ha sentito non erano di rissa di uomini, no,
Dio ne guardi. Ho sparato contro un albero, dietro la casa, dalla
parte del torrente. Per esercizio. Lo faccio tutti i giorni, mi
piace; fin da quando ero appena um ragazzo. E lí, sono venuti a
chiamarmi. Per via di um vitello: um vitello bianco, erratico, gli
occhi che manco um cristiano – che era apparso; e con faccia di
cane. Così m’hanno detto; io non l’ho voluto vedere. E poi, com
le labbra rovesciate in fuori, per difetto di nascita, quello
sembrava ridere come uma persona. Faccia di gente, faccia di cane:
decisero – era il demonio. Popolo ignorante. L’hanno ammazzato.
Il padrone non so neppure chi fosse. Erano venuti a chiedermi in
prestito le armi, le ho date. Non sono superstizioso. Vossignoria ha
ragione di ridere... Veda: quando é sparatoria vera, per prima cosa
i cani si mettono ad abbaiare, immediatamente – allora, poi, si va
a vedere se ci sono scappati dei morti. Vossignoria deve compatire,
questo é il sertão.
C’è chi disse di no: il vero sertão,
dicono quelli, è più avanti addentro nei Campos
Gerais, fine di strade, terre
alte, oltre l’Urucuia. Sciocchezze. E quelli di Corinto e di
Curvelo, allora, non chiamano forse sertão
questi posti qui? Ah, è maggiore! Il luogo sertão
si riconosce: è dove i pascoli mancano di steccato; dove uno può
andare dieci, quindici leghe, senza trovare uma casa abitata; e dove
il criminale vive a suo piacere, lontano dalle strette delle
autorità.
Classe II LSU-A
Prof. Aleandro Tubaldi
meraviglio scrittore! ho fatto la mia tesi di laurea su Guimaraes Rosa!
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